George Clooney dirige il suo sesto film, da una sceneggiatura dei fratelli Coen, vecchia di anni e adesso leggermente ritoccata. Sorta di giallo/noir ambientato nella profonda America anni ’50. Julianne Moore e Matt Demon coinvolti in torbide vicende, inseguono, si inseguono e vengono inseguiti nella loro personalissima versione di una…..Revolutionary Road (come il film di Sam Mendes). Atto d’accusa verso varie manifestazioni dell’America di quell’epoca: razzismo in primis, quindi tutto come oggi.

In una fiorente e apparentemente tranquilla cittadina degli Stati Uniti del profondo sud, nell’era pre- Kennedy delle battaglie per i diritti civili, si coltiva incessantemente il canonico American Dream degli happy days anni ’50-’60, quindi lavoro, casetta con giardino e tagliaerba, torta di mele, latte, e mazza da baseball (su questo ultimo oggetto, libera interpretazione: strumento per far praticare in cortile ai bambini lo sport piu’ popolare d’America, oppure arma per prendere a mazzate qualcuno, preferibilmente un nero). Un bel giorno una famiglia di colore si trasferisce in citta’ e a quel punto la comunita’ bianca “civilizzata” insorge: tutto il male, secondo loro, sta in quella famiglia e in quella casa, senza accorgersi che nella villetta adiacente si scatena un dramma familiare. Matt Demon escogita un piano per uccidere la moglie invalida (Julianne Moore) per potere poi spassarsela con la cognata (sempre Julianne Moore), in un racconto pulp che non fa risparmio di sangue, colpi di scena e qualche venatura ironica, non si sa quanto volontaria.

Un noir che e’ una parabola crudissima di una certa America e di una certa societa’, metafora impietosa di razzismo e ipocrisia della middle class. Unico lampo di ottimismo nell’ansia e nell’angoscia che soffoca lo spettatore, il rapporto di amicizia tra il bambino nero e quello bianco, figli delle due famiglie vicine di casa, che pur in mezzo a tutto questo trambusto ambientale ed emozionale, riescono a fare amicizia e finiscono a giocare insieme a baseball

 

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