Esordio alla regia di Greta Gerwig, presunta star del cinema indipendente americano, con la storia di una teenager in conflitto con la madre, sullo sfondo dell’America di provincia, nella città di Sacamento, con amici e parenti. Il sogno americano visto da una giovanissima.

Premessa: un film, ambientato nel 2002, che comincia con la seguente battuta (parola più, parola meno) della giovane protagonista: “Che depressione in questo posto! La cosa più eccitante di questo periodo è che siamo in un anno palindromo”, non può non partire con un giudizio positivo. Ma poi…. “Lady Bird” è arrivato con l’onda che precede i grandi capolavori, prima la standing ovation alla sua presentazione al Festival di Toronto, poi l’uscita americana, il record di recensioni positive, infine le cinque nomination agli Oscar, tra cui quella principale come miglior film. Ora, come qualcuno possa soltanto pensare di mettere sullo stesso livello di partenza (cioè le nominations) film come “La forma dell’acqua”, “Tre manifesti ecc…”, “The phanthom thread”, con un film normale come questo, resta uno dei grandi misteri. “Lady Bird” si presenta come uno dei film fondamentali della stagione, ma è subito evidente come non possa reggere questo genere di aspettative: non è particolare, grandioso, delicato o originale. È un film discreto ma estremamente ordinario.

La storia è quella di una pseudo-autobiografia della stessa regista Greta Gerwig, cresciuta a Sacramento nei primi Duemila tra sogni di grandezza, cultura, grandi città e indipendenza. Nel film il personaggio si chiama Christine (l’attrice Saoirse Ronan) che ha scelto per sé il nickname Lady Bird. Christine / Lady Bird fa parte di un gruppo teatrale, soffre la sua famiglia che ritiene poco stimolante dal punto di vista culturale, e non vede l’ora di finire la scuola per andarsene da un luogo che sente penalizzante per la sua crescita, destinazione il college a New York. Invece che limitarsi a raccontare le peripezie amorose e di vita della sua protagonista, la regista vuole rappresentare una magnifica parabola intellettuale, in cui lo spunto dato dalla solita volontà di un’adolescente di non somigliare ai propri genitori e distinguersi per affermare se stessa, diventa poi messaggio per arrivare a parlare dei grandi problemi della vita di questo inizio millennio. Obiettivo che tuttavia il film è ben lontano dal raggiungere. Quello che la regista sembra ignorare è che spesso film di questo genere, che raccontano peripezie di giovanissimi americani, magari più commerciali di questo, sono portatori dell’identico messaggio ma senza gloriarsene troppo.

“Lady Bird” è immediatamente identificabile come un tipico film del cinema americano indipendente contemporaneo, quello in cui i protagonisti positivi sono le voci fuori dal coro (anche se dicono solo fesserie, per stare fuori dal suddetto coro), isolati dalla massa e da cui cercano in ogni modo di allontanarsi nonostante il mondo spinga per l’omologazione; sono quelli che hanno il carattere e l’umore perennemente finto-insoddisfatto e amicizie poco convenzionali (anche se questi amici sono più cretini di quelli che si troverebbero dentro la vituperata massa); sono migliori degli altri solo perché diversi e non omologati.

Come detto, “Lady Bird” è un film autobiografico ma in un modo infantile tipico degli esordi: la regista racconta più o meno la sua storia ma lo fa in un modo che suggerisce al pubblico che si stia rappresentando meglio di come fosse.

 

 

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