Già al TFF aveva sollevato entusiasmi e la successiva, recente, presentazione al festival di S. Monica in California come unico film italiano era stata accolta come un successo per il regista e gli interpreti, quasi tutti sardi.
Passato quasi sotto silenzio nelle sale, pochissime, del continente, un po’ meglio distribuito ( ma nemmeno tanto…) in Sardegna, la presenza in America ha fatto si che alcuni cinema isolani lo rimettessero in circolazione, specie a Sassari, dove risiedono quasi tutti, interpreti e regista.
Il regista Bonifacio Angius lo avevamo già ammirato nel cupo “Perfidia”. Ma qui, se l’atmosfera esterna è meno opprimente, non lo è quella psicologica in cui sono immersi i personaggi.
Sardegna, estate, campi assolati, spiagge lontane, messi mietute di fresco, sole accecante, colori netti anche negli interni.
Alessandro è un cantante per passione, per caso, per tradizione tramandata dal padre. Sagre paesane, palchi in piazza o sulle spiagge. Ma il suo demone sono il gioco alle macchinette e la bottiglia. Dopo, da gigante buono e gentile quale è, diventa una furia scatenata. Distrugge casa, spaventa la madre che non gli fornisce il danaro richiesto, tenta malamente un suicidio, fermato dalla polizia locale che lo conosce bene e lo trasferisce in ospedale per un TSO. Passata la sbornia Alessandro è una brava persona .
Ha una sua visione del mondo, diversa da quella di Francesca, conosciuta per caso nel reparto, che proviene da tutt’altra esperienza e sogna solo di rivedere suo figlio che il tribunale le ha tolto e le impedisce di avvicinare . Ma le ragioni della giustizia non sono quelle di Francesca; e nemmeno Alessandro le capisce bene: una madre, per cattiva, pazza, tossica che sia, deve poter vedere suo figlio.
E allora inizia una fuga dei due ‘on the road’ da Sassari a Cagliari, dove il piccolo di cinque anni è tenuto in istituto. Alessandro sembra aver ritrovato una ragione per vivere senza alcool e senza gioco. Ma una momentanea sbornia non si può associare a una conclamata psicolabilitá. Francesca vede cose inesistenti, sogna un futuro impossibile con suo figlio, e i due dovranno per forza prendere strade divergenti.
Come, non va detto.
Aggiungerei che il titolo prende spunto da una di quelle targhette in voga una volta sulle auto per chiedere protezione alla guida ai santi, alla Madonna o a Gesù; targhetta che pende dallo specchietto retrovisore di un pick-up preso a prestito dai protagonisti e del cui destino non sapremo. Finale aperto.
Sorprendenti gli attori.
Alessandro Gazale, che viene da una lunga trafila teatrale, nonostante sia maestro elementare, lavori con i bambini disabili proprio in progetti teatrali, e insegni educazione fisica in una scuola media di Sassari, ha una intensità e una naturalezza sorprendenti. Mille sfumature recitative esaltate da primissimi piani che “regge” con disinvoltura, esibendo una gamma di espressioni da grande interprete.
Francesca, nella realtà moglie del regista, non è da meno, non essendo davvero semplice “fare la matta” senza perdere il contatto con la normalità e senza scadere nella macchietta.
Persino il piccolo Antonio, di cinque anni, è disinvolto e spontaneo, forse perché dietro la macchina da presa c’è papà!
Ottima la sceneggiatura, una scrittura attenta e accurata, dialoghi sardi reali, essenziali ma concreti e significativi nel delineare la psicologia dei personaggi; figure minori scolpite a tutto tondo, anche se per poche scene. Una bella favola moderna, di quelle che si leggono sempre di meno sulle cronache, dove egoismo e tornaconto, sfruttamento e menefreghismo monopolizzano tutti i titoli. Bravissimo il regista che lavora con mano leggera, ma sicura, e lo si vede dalla disinvoltura del figlio che sembra a casa sua davanti alla macchina da presa. Prodotto da RaiCinema, speriamo passi anche in tv per la gioia di chi non lo ha potuto vedere sul grande schermo. Gli auguriamo un ottimo esito, e se lo merita, anche in America.
By Manu52